Confederazione Italiana Micro, Piccole e Medie Imprese


Blog A.N.A.P.

Autore: Raffaele Tovino 8 marzo 2025
Dopo 77 anni si dà seguito a un dettato costituzionale, ma con una norma che rischia di farci solo continuare a galleggiare Adistanza di 77 anni dalla stesura della Costituzione, che all’articolo 46 riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende, la Camera dà il primo via libera al disegno di legge popolare. La Cisl, che di questa iniziativa legislativa è promotrice, parla di «passo fondamentale verso un traguardo storico per il mondo del lavoro e l’intero Paese». L’entusiasmo della neo-segretaria Daniela Fumarola e del suo predecessore Luigi Sbarra è comprensibile. Resta da vedere quanto sia giustificato, visto che quello che ha ricevuto il primo ok dal Parlamento è un testo “annacquato” nella speranza di non scontentare opinione pubblica, politica e mondo sindacale. Partiamo dallo scenario complessivo. La partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa è un’idea affascinante e contemplata in un ampio ventaglio di accordi collettivi. Si pensi a Luxottica, che ha creato un comitato destinatario di informazioni sui problemi relativi all’integrazione con Exilor, un altro comitato per la distribuzione delle azioni ai dipendenti e altre forme di partecipazione con competenze in materia di ciclo produttivo, orari e organizzazione del lavoro. Ancora, nel contratto collettivo Fca-Cnhi-Ferrari si parla di un sistema di relazioni incentrato su commissioni paritetiche per risoluzione delle controversie legate ai contratti, sviluppo del welfare aziendale, pari opportunità e verifica dell’assenteismo. In più, sui 3mila contratti monitorati dall’osservatorio della Cisl il 59% prevede la partecipazione consultiva attraverso commissioni paritetiche in cui sono rappresentate le organizzazioni sindacali, il 40 la partecipazione organizzativa attraverso commissioni per migliorare processi e prodotti, il 19 la partecipazione economico-finanziaria con la distribuzione di azioni e utili ai lavoratori, il 5 la partecipazione gestionale mediante i rappresentanti del personale all’interno dei cda. È in questo contesto che si inserisce la proposta della Cisl che prevede il possibile (non obbligatorio) ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza o di amministrazione, la distribuzione degli utili ai dipendenti, i piani di azionariato per la distribuzione delle azioni al personale, commissioni paritetiche per la condivisione di piani di miglioramento e innovazione di prodotti, processi produttivi, servizi e organizzazione del lavoro, senza dimenticare la formazione continua per chi fa parte degli organismi partecipativi. La sensazione è che nel testo manchino misure vincolanti per dare attuazione a un modello mai concretamente realizzato, sebbene potenzialmente utile e previsto dalla Costituzione. Il ruolo della contrattazione appare depotenziato, col risultato che la partecipazione dei lavoratori diviene una scelta unilaterale delle imprese. In secondo luogo, per garantire il principio di rappresentanza occorre che i lavoratori non siano scelti dal datore di lavoro o dai soci, ma attraverso il canale sindacale e dunque sulla base di un accordo o tramite elezioni. Ancora, ai rappresentanti dei lavoratori andrebbe riconosciuto un potere reale, cioè la possibilità di incidere effettivamente sulle decisioni dell’azienda, magari anche chiedendo la sospensione di decisioni potenzialmente lesive dei diritti del personale e l’apertura di un confronto con le organizzazioni sindacali. Infine, la partecipazione dei lavoratori dovrebbe essere obbligatoria anche nei cda delle società pubbliche. Simili norme sarebbero capaci di indurre quella trasformazione culturale che finora è mancata ma che sarebbe necessaria per garantire ai lavoratori una partecipazione effettiva alla vita delle aziende. Altrimenti anche su questa vicenda si continuerà a “galleggiare” nel limbo delle buone intenzioni. Raffaele Tovino Il Mondo del Lavoro
Autore: Raffaele Tovino 23 ottobre 2024
Negli ultimi anni, il tema dell'uso di droghe sul posto di lavoro ha assunto una crescente rilevanza, sia per le conseguenze sulla sicurezza sia per l'impatto sulla produttività e il benessere dei lavoratori. In Italia, la normativa che disciplina il consumo di sostanze stupefacenti o psicotrope in ambito lavorativo si è evoluta per garantire non solo la tutela della salute dei lavoratori, ma anche la sicurezza sul luogo di lavoro. Normativa di Riferimento La principale norma che regola l'uso di droghe sul lavoro è il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro (D.Lgs. 81/2008), il quale pone l'accento sull'importanza di prevenire comportamenti a rischio che potrebbero mettere in pericolo la salute e la sicurezza, sia del lavoratore che dei suoi colleghi. L'articolo 41 del Testo Unico prevede che i lavoratori esposti a particolari rischi, come coloro che operano su macchinari o in settori dove l'attenzione e la prontezza sono essenziali, debbano sottoporsi a sorveglianza sanitaria obbligatoria. Questa include anche la possibilità di effettuare test tossicologici per rilevare l'eventuale presenza di sostanze stupefacenti. Tra le mansioni particolarmente a rischio troviamo: Operatori di macchinari industriali Autisti di mezzi di trasporto pesante Lavoratori in quota Addetti alla movimentazione di materiali pericolosi L'obbligo di sottoporre a controlli questi lavoratori è stabilito dall'Accordo Stato-Regioni del 30 ottobre 2007, che specifica le modalità di sorveglianza e di screening, indicati come strumento di prevenzione di incidenti. Controlli e Test Tossicologici I controlli antidroga sul lavoro devono essere svolti secondo protocolli ben definiti, rispettando la privacy del lavoratore. I test tossicologici possono essere disposti sia in fase di assunzione che periodicamente durante l'impiego. In caso di positività, il lavoratore non può essere licenziato immediatamente, ma viene avviato verso un percorso di riabilitazione e può essere sospeso temporaneamente dalle mansioni a rischio. Le fasi del controllo sono generalmente le seguenti: Identificazione delle mansioni a rischio: Il datore di lavoro, in collaborazione con il medico competente, identifica i ruoli per i quali è necessario effettuare i controlli. Sorveglianza sanitaria: Il medico competente svolge visite periodiche e può richiedere test tossicologici in base alla mansione svolta. Esito dei test: Se il risultato è positivo, il lavoratore può essere sospeso temporaneamente dalle attività pericolose e indirizzato verso un programma di recupero. Riservatezza dei dati: I risultati dei test devono essere trattati con la massima riservatezza e possono essere condivisi solo con il medico competente e con il datore di lavoro, nel rispetto della normativa sulla privacy (GDPR). Responsabilità del Datore di Lavoro Il datore di lavoro ha la responsabilità di garantire un ambiente di lavoro sicuro, libero da qualsiasi rischio legato all'uso di sostanze stupefacenti. Questo si traduce nell'obbligo di adottare tutte le misure necessarie per prevenire incidenti causati da lavoratori sotto l'influenza di droghe. Nel caso in cui il datore di lavoro non provveda ai dovuti controlli, rischia di essere sanzionato penalmente in caso di incidenti. Inoltre, l'omessa sorveglianza può comportare responsabilità civili per danni causati a terzi. Recupero e Reintegrazione La normativa non è punitiva nei confronti del lavoratore che fa uso di droghe, ma prevede percorsi di recupero e reintegrazione. Il lavoratore positivo ai test può essere avviato a programmi terapeutici, mantenendo il diritto al lavoro, seppure temporaneamente sospeso dalle mansioni rischiose. Il reinserimento avviene solo dopo la certificazione di completa riabilitazione. Conclusione La normativa italiana in materia di droga e lavoro cerca di bilanciare le esigenze di sicurezza con il diritto alla salute e alla privacy dei lavoratori. I controlli tossicologici rappresentano uno strumento essenziale per prevenire incidenti sul posto di lavoro, soprattutto in settori ad alto rischio, ma devono essere condotti nel rispetto della dignità e dei diritti del lavoratore. Per i datori di lavoro, è fondamentale essere informati e attuare politiche preventive adeguate, così da garantire la sicurezza di tutti i dipendenti. Raffaele Tovino
Autore: Raffaele Tovino 21 ottobre 2024
Una questione di sicuro interesse è quella relativa agli obblighi formativi e informativi che il decreto legislativo 81/08 impone al datore di lavoro quale soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o che comunque ha la responsabilità dell'organizzazione dell’attività in quanto vi esercita i poteri decisionali e di spesa. Sul tema è intervenuta di recente la Corte di Cassazione (sent. 25756/2024) chiamata a pronunciarsi in merito ad una vicenda riguardante l’aggressione subita da una volontaria di un rifugio per cani, attaccata da un pitbull mentre era intenta a trasferire l’animale dalla gabbia al recinto di sgambamento. Aggressione a seguito della quale il gestore della struttura riportava una condanna per lesioni personali aggravate dalla violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Nella pronuncia in commento, particolarmente significativa per quel che concerne la sicurezza sul lavoro, i giudici della Cassazione hanno evidenziato come il datore di lavoro assuma una posizione di garanzia nei confronti di chiunque presti il proprio lavoro, anche occasionalmente e su base volontaria, rispondendo, pertanto, delle eventuali lesioni personali cagionate dall'omessa adozione delle misure necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro. Evidenzia ancora la Suprema Corte come l'approntamento di misure di sicurezza e quindi il rispetto delle norme antinfortunistiche esuli dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dovendo riconoscersi tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi "di lavoro". Quindi anche nell’ambito del volontariato, il datore di lavoro è tenuto a formare i collaboratori volontari sullo svolgimento in sicurezza delle attività operative, provvedendo ad individuare ed eliminare, per quanto possibile, o comunque ridurre i rischi inerenti all'attività svolta, nonché a fornire ai predetti volontari dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti nei quali sono chiamati ad operare e ad adottare le misure di prevenzione e di emergenza in relazione alle rispettive attività. Raffaele Tovino
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