Attenzione I Lep non sono una panacea
Non ci sarebbe bisogno di dati per descrivere i divari che lacerano il tessuto economico-sociale dell’Italia e che il progetto di autonomia differenziata avviato dal governo Meloni rischia di far definitivamente deflagrare.
Basterebbe, infatti, l’esperienza quotidiana di milioni di lavoratori, professionisti e imprenditori meridionali costretti a fare i conti con infrastrutture e servizi spesso non degni di un Paese civile.
L’analisi della filiera dell’istruzione e il dramma della migrazione di cervelli all’estero, però, aiutano a fotografare un contesto in cui le disparità hanno ormai oltrepassato la soglia della tollerabilità e che neppure la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ai quali il ddl Calderoli affida la garanzia della ritrovata uguaglianza tra i territori, riuscirà a correggere. E allora partiamo, ancora una volta, dai numeri. Al Sud l’orario prolungato nella scuola dell’infanzia è offerto solo al 4,8% dei bambini. E circa il 79% degli alunni delle scuole primarie statali non beneficia di alcun servizio mensa. Se poi si analizzano le statistiche relative ai laureati, non si può fare a meno di notare come, nel decennio 2012- 2021, il Mezzogiorno ne abbia persi circa 157mila, di cui 28 emigrati all’estero e 129 trasferitisi al Centro o al Nord. E qual è uno dei maggiori “serbatoi di laureati” per le imprese e le pubbliche amministrazioni estere e del Centro-Nord? La Puglia, ovviamente, che negli ultimi tempi ha dovuto “salutare” ben 33mila giovani talenti, seconda solo alla Campania che ne ha persi 43mila. La Basilicata, invece, ne ha visti sparire “solo” 6mila, comunque tanti se si pensa al ridotto numero complessivo di residenti. Noncurante di questi dati allarmanti, il ddl Calderoli rischia di ampliare ulteriormente il divario tra le diverse aree del Paese. E non bastano le rassicurazioni sui Lep, alla definizione dei quali è subordinata l’attuazione dell’autonomia differenziata tanto cara alla Lega. Difficilmente la questione potrà essere liquidata in pochi mesi con un Dpcm, così come previsto dalla bozza Calderoli e dalla legge di bilancio per il 2023. Parliamo, infatti, di stime assai complesse che richiedono informazioni particolarmente dettagliate e, in molti casi, non ancora disponibili.
Il problema principali, però, consiste nel finanziamento dei Lep. Cosa succede se, per coprire i livelli essenziali delle prestazioni in un Regione che chiede maggiore autonomia, occorre una quantità di risorse superiore a quella storicamente destinata dallo Stato a quella stessa Regione? Le soluzioni sono due: o si aumentano le tasse, che in Italia hanno già raggiunto livelli record, o si taglia la spesa nelle materie di competenza esclusiva dello Stato, accettando così il rischio di sottrarre risorse a servizi fondamentali come giustizia, previdenza sociale, ordine pubblico e sicurezza. Il rischio, dunque, come hanno giustamente evidenziato Massimo Bordignon, Leonzio Rizzo e Gilberto Turati, è che le difficoltà legate alla definizione e al finanziamento dei Lep facciano sì che l’autonomia differenziata venga attuata sulla base del criterio della spesa storica, cioè ritenendo che quanto speso dallo Stato per determinati servizi e funzioni sia esattamente quanto necessario per finanziarli: un principio che, nel corso degli anni, ha fortemente penalizzato il Sud assicurando al Centro e al Nord una maggiore quota di risorse statali. Quindi, delle due l’una: o il Governo ragiona seriamente sul tema delle disparità e sugli indispensabili correttivi o è meglio che, da Palazzo Chigi, qualcuno si alzi e, con coraggio e altrettanta franchezza, dichiari che il Mezzogiorno è destinato a morire.
Raffaele Tovino
L’Edicola del Sud









