Il sì del governo Meloni al ponte sullo stretto di Messina è stato accompagnato dalla solita ridda di cifre, altolà e polemiche: da una parte il ministro Matteo Salvini, secondo il quale l’opera darebbe lavoro a 120mila persone e costerebbe meno di un anno di reddito di cittadinanza; dall’altra, invece, il solito ambientalismo radical chic, sempre pronto a opporsi a certe infrastrutture strategiche. Nel mezzo c’è la posizione, prudente ma realista e non ottusamente ideologica, del sindaco napoletano Gaetano Manfredi che dovrebbe ispirare un dibattito serio sulle grandi opere. Il primo cittadino della terza città d’Italia si è detto sostanzialmente favorevole al ponte sullo stretto, compiendo così un atto di assoluta rilevanza politica. Le sue parole, infatti, sono quelle di un sindaco espressione di Pd e M5s che però, su questo punto, sceglie di parlare da ingegnere e non da politico. Manfredi non piega le ragioni della tecnica a quelle dell’ideologia, accetta di entrare in conflitto anche con l’ambientalismo radicale che sostiene la sua amministrazione comunale e, come hanno fatto la premier Meloni e il segretario Cgil Landini, alimenta l’indispensabile confronto.
Il confronto pubblico è necessario sui temi strategici per lo sviluppo dell’Italia e, in particolare, del Sud. Al momento, invece, gli steccati ideologici sembrano insuperabili. Salvini “spara” cifre monstre proprio come hanno fatto, in passato, altri esponenti politici: nel 2001 l’allora leader del centrosinistra Francesco Rutelli parlava di 17mila nuovi posti di lavoro in sette anni; nel 2011 l’allora ministro Altero Matteoli ipotizzava 40mila assunzioni l’anno; nel 2016 l’ex premier Matteo Renzi ipotizzava 100mila occupati in più, ma senza specificare le fonti e distinguere tra contratti direttamente legati ai lavori e indotto. Insomma, parole e numeri troppo spesso enunciati per mera convenienza politica. Sulla sponda opposta, invece, restano gli alfieri dell’ambientalismo cieco, quello che si oppone sempre a tutto e a prescindere, e gli immancabili ben altristi, quelli per i quali l’opera o la misura indispensabile per il Sud e per l’Italia è puntualmente un’altra. Sarebbe il caso, dunque, di aprire un dibattito serio sulle grandi opere e, soprattutto, sulle condizioni in cui tanto le pubbliche amministrazioni quanto le imprese si trovano a operare. Pensiamo al Pnrr. Nel corso di un convegno organizzato dall’Ance a Lecce, per esempio, i sindacati hanno evidenziato quanto sia difficile rispettare il cronoprogramma dettato dall’Europa, soprattutto per quanto riguarda i 21 progetti di efficientamento energetico e riqualificazione urbana. In Puglia occorrono mediamente nove anni, Bruxelles pretende che i cantieri vengano chiusi in sei. Bisogna, dunque, trovare soluzioni per rafforzare gli organici delle pubbliche amministrazioni chiamate a vagliare i progetti, sostenere le imprese nel reperire manodopera qualificata, evitare in tutti i modi che le grandi opere restino confinate nel libro dei sogni e che il Pnrr si riveli un clamoroso flop. Per farlo, però, è indispensabile andare oltre gli steccati ideologici, aprirsi al confronto e ragionare sulla base dei numeri e non del proprio tornaconto elettorale. Manfredi ci ha provato. Altri ci riusciranno?
Raffale Tovino
*dg Anap