IL LAVORATORE RIFIUTA LA VACCINAZIONE ? IL DATORE DI LAVORO PUÒ PROVVEDERE ALLA SOSPENSIONE DAL LAVORO E DELLA RETRIBUZIONE.
Con ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021, il Tribunale di Modena ha affermato la piena legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro, senza retribuzione, adottato dal un datore di lavoro operante in una RSA ove due addetti con mansioni sanitarie avevano rifiutato di vaccinarsi contro il CoViD -19.
*Si precisa che il provvedimento in oggetto è stato adottato prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 44/2021, che impone l'obbligo di vaccinazione per il personale sanitario.
I FATTI
Un datore di lavoro, operante in una RSA, sospendeva senza retribuzione due fisioterapisti che avevano rifiutato di vaccinarsi contro il Covid 19.
Avverso il succitato provvedimento i due operatori sanitari presentavano ricorso cautelare.
Il Tribunale di Modena, nel pronunciarsi sulla questione, rigettava il ricorso avallando la decisione assunta dal datore per le motivazioni che si riportano di seguito.
IL DIRITTO
Il Tribunale ritiene corretta la decisione assunta dal datore di lavoro, attesa la posizione, rivestita dal medesimo, di garante della salute e sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per varie ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali, ed in virtù dell’art. 2087 c.c. che prevede l’obbligo di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie a tutelarne l’integrità fisica.
L’attività svolta a stretto contatto con anziani e persone fragili rappresenta un pericolo dal punto di vista pandemico, da qui la necessità di tutelare la salute dei medesimi, sospendendo dal lavoro i dipendenti che rifiutano di sottoporsi a vaccinazione, attesa, peraltro, l’impossibilità di adottare provvedimenti di natura disciplinare.
Invero, anche il D.Lgs 81/2008 prevede tra i doveri di protezione e sicurezza sui luoghi di lavoro quello di tutelare i lavoratori da agenti di rischio esterni, e, nel caso di specie tale obbligo non può dirsi di certo adempiuto mediante il semplice utilizzo della mascherina.
Nell’ordinanza si legge «la mancata vaccinazione, pur non assumendo rilievo disciplinare, comporta conseguenze in ordine alla valutazione oggettiva dell’idoneità alle mansioni. In ragione della tipologia delle mansioni espletate (cura e assistenza a persone anziane e con molteplici patologie) e della specificità del contesto lavorativo e dell’utenza della RSA, è possibile sostenere che l’assolvimento dell’obbligo vaccinale inerisca alle mansioni del personale sanitario. Il rifiuto della somministrazione, non giustificato da cause di esenzione e da specifiche condizioni cliniche, costituisce impedimento di carattere oggettivo all’espletamento della prestazione lavorativa.” Tale opzione esegetica è avallata dallo jus superveniens, poiché l’art. 4, comma 1 del D.L. n. 44/2021 (conv. L n. 76/2021) stabilisce che “La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”».
Inoltre viene richiamata la direttiva UE n. 2020/739 del 03.06.2020 (recepita con l’art. 4, D.L. n. 125/2020, conv. dalla L. n. 159/2020) che ha “incluso il Covid-19 «tra gli agenti biologici da cui è obbligatoria la protezione anche nell’ambiente di lavoro”, hestendendo le misure di prevenzione previste dalla direttiva 2000/54/CE, recepita dal D. Leg. n. 81/2008», la disciplina emergenziale, che ha qualificato come “infortunio il contagio da Covid nei luoghi di lavoro” (art. 42, comma 2, D.L. n. 18/2020), prevedendo una presunzione semplice di origine professionale per gli operatori sanitari, in ragione del rischio biologico specifico e del costante contatto con l’utenza (cfr. Circolare INAIL 13/2020), ed il Piano vaccinale nella parte in cui conferma che “gli ospiti delle residenze sanitarie assistenziali sono ad alto rischio di malattia grave a causa dell’età avanzata, e della presenza di molteplici coomorbilità per cui vanno considerati soggetti ad elevata priorità per la vaccinazione, insieme agli operatori sanitari e sociosanitari”.
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L’ordinanza del Tribunale di Modena non rappresenta un caso isolato. Ad essa hanno fatto seguito le pronunce dei Tribunali di Belluno e Verona, etc. con cui sono stati rigettati, (anche in tal caso), ricorsi presentati da dipendenti no vax.
In un primo momento i sindacati hanno utilizzato toni molto aspri per commentare le suddette pronunce, poiché ritenute lesive della libertà di scelta dei lavoratori; per converso, in un secondo momento hanno mutato atteggiamento arrivando ad appoggiare le decisioni assunte dai datori di lavoro, e successivamente dal Governo di rendere obbligatorio il Green Pass a decorrere dal 6 luglio per l’accesso agli spazi chiusi, con l’unica richiesta di non utilizzare l’obbligo di vaccinazione come strumento per poter procedere ai licenziamenti, stante l’attuale blocco degli stessi.
Invero la scelta dei sindacati risponde all’esigenza di scongiurare una nuova ondata di Covid19, che molti paventano come prossima, atteso il diffondersi della nuova variante, e di conseguenza un nuovo stop per il lavoro e le imprese, circostanza che comprometterebbe in maniera irreparabile un’economia già di per sé sofferente.
Inoltre, come si evince dal rapporto del Gruppo di Lavoro dell’ISS, l’efficacia dei vaccini non assicura una protezione al 100% contro le forme clinicamente manifestate di Covid-19, tuttavia riduce la capacità di trasmissione rispetto ai soggetti non vaccinati.
Seppur vero che l’obbligo di vaccino lede la libertà di scelta del lavoratore, è vero anche che il datore di lavoro oltre ad essere onerato dell’obbligo di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie a tutelarne l’integrità fisica ex art. 2087 c.c., rischia una sanzione fino a 10 milioni di euro ex art. 13 del DCPM 17/06/2021, in combinato disposto con l’art. 29 del Regolamento dell’UE del 2016 n.679, in caso di mancato possesso del green pass da parte dei propri dipendenti.
Ordunque, per quanto la pronuncia in commento, (ed altre simili), possa apparire lesiva dei diritti del lavoratore, appare, al contempo, come la decisione più opportuna che un datore di lavoro possa assumere per tutelare la salute di tutta la forza lavoro impiegata nella propria impresa/azienda e dei terzi che con essa vengono in contatto.









