C’è una novità nel decreto approvato dal Consiglio dei ministri riunito a Cutro, la cittadina calabrese al largo della quale si è verificato il naufragio costato la vita a 72 migranti. Una novità che potrebbe segnare una svolta importante per le imprese agricole e turistiche, perno dell’economia di regioni come Puglia e Basilicata.
Mi spiego: dai primi cinque articoli del testo traspare una maggiore apertura all’immigrazione per lavoro che, se per un verso non risolve il problema del diritto d’asilo per i disperati in fuga da fame e guerre, per l’altro risponde alle istanze di migliaia di imprese a caccia di manodopera. Bene così, dirà qualcuno. Sì, se non fosse per la solita burocrazia e per alcune discutibili scelte del Governo che rischiano di rivelarsi controproducenti. Partiamo dalle norme appena approvate. L’allargamento dei flussi di lavoratori extracomunitari in ingresso nel triennio 2023-2025 sarà definito con Dpcm, anche in base all’analisi del fabbisogno del mercato del lavoro, al pari delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, stagionale o autonomo. Le verifiche in relazione agli ingressi dei stranieri spettano, per quanto riguarda l’osservanza dei contratti e la congruità del numero delle richieste presentate, ai consulenti del lavoro e alle organizzazioni datoriali più rappresentative sul piano nazionale.
Superati i controlli, viene rilasciata l’asseverazione che il datore è tenuto a produrre insieme con la richiesta di assunzione dello straniero. Non sono tenute a presentare alcuna asseverazione, invece, le associazioni di categoria più rappresentative che abbiano sottoscritto un protocollo col quale si impegnano a garantire l’osservanza delle norme contrattuali da parte dei propri associati. La prima perplessità riguarda l’effettivo snellimento delle procedure per l’ingresso e l’assunzione degli stranieri. Alla costante priorità che la destra riconosce alle istanze securitarie, infatti, si aggiunge la necessità di verificare la disponibilità di candidati italiani per i posti vacanti. Il governo italiano, dunque, intende muoversi in maniera differente rispetto a quelli di Francia, Spagna e Germania che alla carenza di manodopera rispondono sanando, su base individuale, la posizione degli immigrati irregolari già inseriti nel mercato del lavoro, senza però appesantire le già farraginose procedure con ulteriori verifiche e autorizzazioni all’ingresso. Non bisogna dimenticare, inoltre, che il decreto prevede quote riservate ai lavoratori di “Stati-amici” che promuovano campagne mediatiche sui rischi dell’immigrazione irregolare: significa che le maglie saranno più larghe per i tunisino, ad esempio, e meno larghe per chi proviene da altri territori. Sullo sfondo, poi, resta il problema dei numeri. Il primo decreto flussi ha assicurato ad agricoltura e turismo una quota di lavoratori stagionali pari 44mila unità, a fronte dei 42mila previsti nel 2021, riservandone 22mila, a fronte dei 14mila del 2021, alle organizzazioni agricole firmatarie di un protocollo col Ministero del Lavoro. Può bastare? Ancora no, se si pensa che, secondo Coldiretti, alle imprese agricole servono almeno 100mila stagionali che, al momento, sembrano introvabili. Il pericolo, dunque, è che le innegabili aperture contenute nel decreto di Cutro e nel decreto flussi siano neutralizzate dalla burocrazia, resa sempre più pachidermica dall’impostazione ideologica e dalle istanze securitarie che il governo di destra intende assecondare. Servirebbero, invece, procedure più snelle e più coraggio per rispondere alla carenza di personale che, dopo la crisi legata al Covid e quella conseguente alla guerra in Ucraina, rischia di paralizzare migliaia di imprese, soprattutto nel Mezzogiorno.
Raffale Tovino
*dg Anap