Un altro Sud al centro dell’Europa
Per molti anni, a partire dal crollo del muro di Berlino, le istituzioni tedesche hanno assecondato il bisogno di ricomporre l’unità territoriale della nazione. Ed è apparsa irrinunciabile la scelta di ricostruire i confini del vecchio assetto austro- ungarico, con i Paesi balcanici nell’orbita della Germania riunificata. Siamo stati tutti berlinesi, soprattutto dal 1989 in poi. Così un ampio mercato dell’Est Europa è tornato alla casa madre, fornendo alla Germania non solo uno sbocco commerciale per l’export, ma una piattaforma per la delocalizzazione delle attività manifatturiere che le ha consentito di detenere lo scettro di prima potenza industriale dell’Eurozona. Oggi possiamo considerare la crisi Ucraina e la guerra ancora in corso come un passaggio obbligato di questa rievocazione asburgica tesa a sottrarre definitivamente alla Federazione russa ogni influenza sui Paesi del blocco ex sovietico, grazie a una rilanciata coalizione occidentale a guida Nato. E noi, quaggiù? Qui, sul limite meridionale dell’Europa, restiamo un po’ come sospesi al nostro destino gregario Dimentichiamo colpevolmente che il Mezzogiorno è la naturale porta d’ingresso di nuovi flussi energetici provenienti dal Nord Africa verso l’Europa (Transmed e Greenstream). È sede di importanti porti energy (oil & gas): Messina, Augusta e Cagliari sono tra i primi cinque porti italiani con 65 milioni di tonnellate di liquid bulk (36% del totale nazionale). I giacimenti di petrolio più importanti in Italia si trovano in Sicilia e nel suo immediato offshore, in particolare i giacimenti di Ragusa, Gela, Gagliano. E che dire della Basilicata, dove c’è il centro oli più grande d’Italia (Val d’Agri), con un sottosuolo che dispone di riserve pari a 1,4 miliardi di barili. Ma il Mezzogiorno è strategico ed essenziale soprattutto per la produzione di energia rinnovabile. I 280,5 miliardi di kWh di elettricità prodotti nel 2020 sono stati generati per il 36% da impianti localizzati nel Mezzogiorno. Nell’area vengono generati il 54% dei gwh rinnovabili (da eolico, fotovoltaico e bioenergie): il 41% dei gwh prodotti da fotovoltaico, il 27,3% dei gwh da bioenergie e la quasi totalità della produzione elettrica da eolico (il 96,4%), dove il Sud riveste un indiscusso primato. Ecco perché il Pnrr prevede che il 40% dei fondi siano destinati al Sud. Non solo perché ridurre il divario territoriale più grande d’Europa è cosa buona e giusta, ma perché è cosa pure conveniente e dirimente per l’Italia (e l’Europa) che vogliono tornare su accettabili livelli di crescita del loro pil. E difatti, non a caso, una sua specifica misura prevede per il Mezzogiorno uno stanziamento del 33-36% delle risorse del Paese per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, per il quale sono a disposizione 5,9 miliardi di euro. L’obiettivo – italiano ed europeo – è incrementare la quota di energia green in linea con i target di de-carbonizzazione. Il futuro quindi passa da qui, dal vecchio Mezzogiorno che la storia sta riportando al centro del villaggio. L’area euro-mediterranea potrà assumere un ruolo baricentrico tra il Sud e il Nord del mondo, attraverso la realizzazione di un hub di collegamento per il trasporto e la distribuzione delle commodity energetiche. Questo indirizzo è destinato a mutare radicalmente le strategie geopolitiche dell’Europa, che deve in fretta inventarsi un futuro che non sia da vaso di coccio tra Usa, Cina e Russia.
Raffaele Tovino









